Posted by Laura Ercoli on 5 febbraio 2016

“Compra il mio prodotto, è identico a quello col marchio famoso”: è concorrenza sleale

CONCORRENZA SLEALE – GIURISPRUDENZA

Nella sentenza Jean Louis David la Corte di Cassazione conferma che pubblicizzare un prodotto dichiarandolo identico al prodotto con il marchio rinomato di un concorrente costituisce uno sfruttamento parassitario degli investimenti nel marchio effettuati dal concorrente.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha interpretato le norme del Codice Civile in materia di concorrenza sleale.

La società licenziataria in Italia del marchio JLD (Jean Louis David), utilizzato per negozi di parrucchiere in franchising e per prodotti per capelli utilizzati anche nei negozi stessi, aveva citato in giudizio la società PLM Srl che commercializza prodotti per parrucchieri.

Donna usa lacca per capelli

La società licenziataria lamentava che la PLM Srl aveva avviato una campagna pubblicitaria presso gli affiliati commerciali della catena di franchising Jean Louis David presentando i propri prodotti come identici ai prodotti a marchio JLD.

Nel giudizio di primo grado il Tribunale di Milano aveva stabilito che il messaggio pubblicitario indirizzato dalla PLM Srl agli affiliati della catena di franchising JLD era un caso di pubblicità comparativa illecita e di uso abusivo del marchio JLD, e che integrava gli estremi della concorrenza sleale. Il tribunale aveva conseguentemente condannato la PLM Srl al risarcimento dei danni.

La PML Srl aveva presentato ricorso in appello, e quando questo era stato giudicato inammissibile aveva adito la Corte di Cassazione.

Con sentenza n. 100 del 7 gennaio 2016, la VI Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ritenuto infondato anche il secondo ricorso.

La PML Srl affermava, essenzialmente, che dal momento che i prodotti da essa offerti erano privi del marchio JLD, non vi era confondibilità fra i prodotti, e non poteva quindi sussistere l’intento di agganciare il proprio prodotto alla notorietà del prodotto a marchio JLD.

La sentenza della suprema corte ha chiarito invece che una pubblicità comparativa, per essere ritenuta illecita, non deve necessariamente generare confusione.

Infatti secondo il Codice Civile, art. 2598, compie atti di concorrenza sleale chiunque si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente.

Presentare i propri prodotti come simili o identici a quello del concorrente, sfruttando la rinomanza che quel prodotto ha già acquisito presso i destinatari della pubblicità comparativa, viola questa norma.

Nella sentenza si sottolinea come sia proprio l’affermazione sostanziale di identità con il prodotto con marchio rinomato a rendere illecita la condotta di chi agisce per favorire la vendita di un prodotto sfruttando la notorietà già acquisita dal prodotto concorrente, agganciandosi parassitariamente per sfruttarne i vantaggi economici, conseguiti dal concorrente tramite investimenti in pubblicità del marchio.

La corte ha inoltre fatto riferimento a precedenti pronunce, ricordando che la concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti altrui “ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi (…) da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori”.

5 febbraio 2016

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