Il diritto d’autore nello sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa: nuovo studio dell’EUIPO
L’indagine fotografa una situazione in rapida evoluzione: manca ancora un meccanismo unico che permetta ai titolari di diritti d’autore di vietare l’uso dei propri contenuti da parte dei sistemi di IA generativa; dalla standardizzazione di questo meccanismo dipende però il buon funzionamento di un mercato che sta già dimostrando di avere un elevato potenziale di crescita, ovvero quello delle licenze per l’uso di contenuti da parte degli sviluppatori di IA generativa.
Lo studio The development of generative artificial intelligence from a copyright perspective, pubblicato a maggio 2025 dall’EUIPO (European Union Intellectual Property Office), esplora gli sviluppi dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI) dal punto di vista della normativa dell’Unione europea sul diritto d’autore.
La finalità dello studio è chiarire, da un punto di vista tecnico, il rapporto fra la GenAI e il diritto d’autore. L’approccio adottato è quello di partire da analisi di tipo tecnico, legale ed economico volte ad approfondire il funzionamento della GenAI e ciò che il suo sviluppo comporta, per poi eseguire un esame dettagliato dell’uso e della generazione di contenuti nello sviluppo dei servizi di GenAI dal punto di vista dei diritti d’autore.
Un quadro in rapida evoluzione
Ne emerge un quadro ancora in rapida evoluzione, in base al quale la ricerca conclude, fra l’altro, che non si è ancora giunti a definire un meccanismo unico di opt-out (dichiarazione di riserva); meccanismo che i titolari di diritti d’autore su contenuti disponibili in rete sono obbligati a utilizzare per esercitare il diritto di impedire l’uso dei contenuti da parte dei sistemi GenAI, come previsto dall’art. 4 della Direttiva UE sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale.
Ma se da un lato si registra un numero crescente di contenziosi legali riguardanti il diritto d’autore e la GenAI, dall’altro si sottolinea che in diversi casi sono stati raggiunti accordi di notevole valore economico fra sviluppatori di GenAI e titolari di diritto d’autore, e che questo genere di accordo avrà un ruolo di importanza crescente nella generazione di flussi di ricavi dai diritti d’autore.
Il potenziale degli accordi di direct licensing
È interessante notare infatti che secondo l’indagine dell’EUIPO il mercato degli accordi di licenza per l’uso di contenuti protetti da diritto d’autore da parte di sviluppatori di intelligenza artificiale ha un elevato potenziale di sviluppo.
Il mercato è stato creato proprio dal meccanismo di opt-out instituito dall’art. 4 della Direttiva UE di cui sopra; l’introduzione di questa norma infatti determina che l’uso da parte di sviluppatori di intelligenza artificiale di opere per le quali è stato esercitato l’opt-out costituisce una violazione di diritto d’autore.
Lo studio cita anche altri fattori di crescita per questo mercato, primo fra tutti la percezione di una imminente scarsità di dati disponibili per istruire le macchine, seguito dall’importanza della qualità dei dati e dei metadati e dati annotati (ovvero maggiormente comprensibili per l’intelligenza artificiale).
Anche altre fonti prevedono che gli accordi di licenza saranno fondamentali in un mercato profondamente impattato dalla GenAI. Ad esempio, per quanto concerne il settore musicale, la Confederazione internazionale delle società di autori e compositori (CISAC) stima che entro il 2028 i sistemi GenAI causeranno un calo del 24% dei ricavi per gli autori e compositori umani; entro la stessa data, la produzione musicale dei sistemi GenAI, comprensiva di opere complete e di contributi parziali, avrà raggiunto complessivamente i 40 miliardi di euro per un valore annuo stimato per il solo 2028 di 16 miliardi di euro. Nel frattempo, le società più importanti del settore stanno già discutendo con le startup sviluppatrici di modelli generativi musicali la possibilità di stipulare accordi.
Verso un meccanismo standard di opt-out
Certamente la chiave per un buon funzionamento di questo tipo di mercato sarà la definizione in tempi rapidi di meccanismi standardizzati di opt-out. Diverse realtà se ne stanno già occupando; ad esempio, il World Wide Web Consortium (W3C) ha elaborato un protocollo per effettuare la dichiarazione di riserva tramite un meccanismo automatico, ChatGPT permette di riservare i propri diritti mediante la compilazione di un form online e altri soggetti (compresi Getty Images, Tik Tok, Tinder e Giphy) hanno inserito fra le condizioni d’uso dei loro servizi il divieto di utilizzare i dati per il machine learning; da notare tuttavia che secondo la Direttiva UE di cui sopra il divieto deve essere espresso in modo tale da consentirne una lettura automatizzata.
Segnaliamo anche la Content Authenticity Initiative (associazione fondata da Adobe) e il suo adattamento del protocollo C2PA “Content Provenance and Authenticity”, nato originariamente per fornire informazioni circa la provenienza e la storia di media digitali, ma che permette ora di fornire indicazioni anche sul divieto di utilizzare contenuti per il machine learning tramite delle specifiche denominate ‘do not train’.
Grazie a Carlo Lamantea e a Federico Caruso per gli esempi sull’opt-out già citati nel loro articolo per Lexroom.
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